Allo specchio dell’era Kennedy
Quarto piano – Lo specchio del cinema
Ai piani precedenti della mostra si è già rimarcata in più occasioni l’importanza della presenza del cinema su tutte le vicende dell’era Kennedy. Senza temere di trovarsi tra troppi specchi, riteniamo che se la mostra può aiutarci a vedere come siamo specchiandoci in quegli eventi, a loro volta essi si trovavano costantemente di fronte allo specchio che gli offriva il cinema. E quindi anche noi, specchiandoci in quell’epoca, troviamo nel suo cinema uno specchio che non ci mente.

L’esposizione di questo piano, oltre a un video e agli oggetti in teca, vuole dunque essere prima di tutto una festa per l’occhio, perché i manifesti, i soggettoni, le locandine e le fotobuste qui selezionati dalle collezioni della Cineteca del Friuli (e in particolare dal Fondo Gianni Da Campo) possono trasmetterci in un colpo d’occhio il fascino di quel cinema, di cui la parallela rassegna di proiezioni al Cinema Sociale offre la visione integrale di alcune opere fondamentali: molte inedite in Italia e appositamente sottotitolate, altre invece anche in versione italiana perché le versioni italiane dei film fino agli anni ’60, ovvero nell’epoca gloriosa della pratica di doppiaggio, sono un ulteriore elemento conoscitivo: così come in mostra si è trattata la ricezione italiana dei volumi di JFK, in queste proiezioni si tratta la riscrittura del suono nelle versioni italiane dei film, con varianti talvolta dovute a censure o all’esigenza di ridurre le durate, cosa che le odierne edizioni in video permettono di studiare reinserendo sottotitolate e in originale le parti omesse. Ma naturalmente, pur apprezzando il corpo sonoro delle versioni italiane, il consiglio migliore da dare è di confrontarne la visione con quella della versione originale.
Ciò che si vede a questo piano non sono quindi i film ma il materiale pubblicitario che vuole renderli attraenti: con inevitabili arbìtri di “rimontaggio” delle immagini dei film, e di loro reinvenzione grafica, da considerarsi però non una violenza verso le opere ma una moltiplicazione delle loro possibili direzioni.
Si sono qui selezionati, anche in base al loro fascino visivo, materiali riguardanti alcuni gruppi tematici di film che rientrano nei percorsi della mostra. Non ci si soffermerà in questo testo sui caratteri di ciascun film perché ciò spetta alle presentazioni che si dedicheranno a ciascuna proiezione. Si dirà solo qualcosa su questi gruppi tematici, aggiungendo dettagli su film che non verranno proiettati per l’occasione ma che è parso tuttavia utile includere nella scelta di quanto esposto.
Come per l’insieme della mostra, si tratta con particolare attenzione il periodo della presidenza, ma con molti flashback e flashforward. E ovviamente il periodo ulteriore fino alla fine degli anni ’60 è particolarmente rilevante.
L’inizio degli anni ’60, che coincide con l’avvento della presidenza Kennedy, è davvero ricco per il cinema americano: vi confluiscono sia la forza del passato che le nuove tendenze. Dopo il 1968 queste compresenze tenderanno a confliggere, ma all’inizio del decennio fanno parte di uno stesso organismo complessivamente interessante.
Tra i temi in cui si articola la mostra quello dei film “fantapolitici” è particolarmente rappresentato nell’esposizione, perché anche oggi esso rivela bene il clima dell’epoca.
Sono inoltre ben rappresentati i luoghi geopolitici trattati in mostra (cui naturalmente si potrebbero aggiungere altri come la Grecia col suo colpo di stato), includendo anche film minori ma interessanti. Di particolare rilievo è ovviamente il Vietnam.

Ai film americani si aggiungono quelli di diversa nazionalità, e si conferma soprattutto la fertilità del cinema italiano, in cui si è realizzato tra l’altro il primo film di finzione trattante (in chiave western) l’assassinio di Kennedy, Il prezzo del potere di Tonino Valerii. Vi si includono anche film dai collegamenti indiretti come Il caso Mattei di Francesco Rosi, non solo perché la morte di Enrico Mattei è un altro della serie dei misteri mai risolti (ma vi si poteva aggiungere un altro film con Volontè, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, con le sue evidenti allusioni a Luigi Calabresi e alla morte di Giuseppe Pinelli); nel film di Rosi JFK è peraltro citato dal protagonista come qualcuno che ostacolò la presenza dell’Italia attraverso Mattei in Libia, notazione certo coerente con la concezione kennediana della presenza americana in Africa come ostile ai precedenti colonialismi.

Per quanto si esponga una selezione rappresentativa di film collegati all’era Kennedy, queste relazioni sono talmente ampie da costringere ad accantonare altri casi significativi dell’eco internazionale della figura di Kennedy nel cinema: per esempio nel trittico documentario del grande regista jugoslavo (o serbo voivodinese) Żelimir Żilnik con protagonista un giovane rom cui era stato dato il nome di battesimo Kenedi (così traslitterato).
This Side of Paradise: Fragments of an Unfinished Biography
(USA, 1999) di Jonas Mekas, 35′
Girato a 16mm tra gli anni ’60 e ’70, il film è stato tardivamente montato da Mekas e poi incluso da Re:voir Video, con altri tre coevi del regista, in un The Sixties Quartet.

Si tratta di una delle più affascinanti testimonianze di come arte e cinema fossero penetrati nella vita dei Kennedy, e nessuno può presentarcelo meglio dell’autore, nel testo scritto in occasione dell’edizione del 1999:
Sorprendentemente, come del resto è accaduto per la maggior parte degli eventi nella mia vita, per diverso tempo fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta ho avuto la fortuna di trascorrere diversi giorni – soprattutto in estate – con le famiglie e i figli di Jackie Kennedy e della sorella Lee Radziwill. Il cinema era una componente fondamentale e inseparabile della nostra amicizia. Quel tempo era ancora molto vicino alla prematura e tragica morte di John F. Kennedy. Jackie voleva dare ai figli qualcosa da fare allo scopo di facilitare la transizione alla vita senza un padre. Pensava che una macchina da presa potesse divertire i ragazzi. Peter Beard, che all’epoca era il maestro di storia dell’arte di John e Caroline, suggerì a Jackie che io potessi essere colui che poteva introdurre i suoi figli al cinema. Jackie disse di sì, ed è così che tutto è cominciato.
Con poche eccezioni, tutte le immagini di questo film sono state girate durante le estati trascorse da Caroline e John jr. a Montauk insieme ai cugini Anthony e Tina Radziwill, in una vecchia abitazione che Lee aveva affittato da Andy Warhol per qualche estate. Lo stesso Andy passò molti weekend proprio lì, in uno dei cottage, così come Peter Beard, che i ragazzi avevano adottato come se fosse un fratello maggiore, o come il papà che non avevano più. Erano estati di felicità, di gioia, di incessante celebrazione della vita e dell’amicizia. Erano giorni che sembravano Piccoli Frammenti di Paradiso. – Jonas Mekas
Tre grandi critici allo specchio dell’era Kennedy

Tino Ranieri
Nato a Trieste come Costantino Krainer il 23 giugno 1920 e morto a Milano il 24 giugno 1978, è l’esempio per eccellenza del critico che è prima di tutto uno spettatore, che sente il pulsare dei film a ogni proiezione in sala. Infatti egli arriva nel dopoguerra alla critica cinematografica, per la radio e i giornali, dopo un’oscura vita da impiegato del Comune di Trieste. Grande lettore, uno degli universi in cui s’immerge anche da spettatore è quello della storia americana e del Far West. Ciò lo accomuna al più giovane critico triestino Tullio Kezich, che insieme ai coetanei Callisto Cosulich e Franco Giraldi scopre con ammirazione questo personaggio schivo che si rivela un’enciclopedia di conoscenze. La critica triestina è stata infatti insieme a quella ligure tra le più libere in Italia dai canoni critici correnti, capace di mettere al primo posto il piacere di scoprire i film anziché preoccuparsi di esercitare un ruolo di giudice. Tino Ranieri era molto curioso anche verso il cinema italiano (sarà il primo a scrivere un libro su Alberto Sordi) ma il vero amore era il cinema americano, verso il quale è tra i non molti critici in Italia capace di andare oltre gli schemi ideologici. Collocandosi anche lui a sinistra, e diventando amico di Ugo Casiraghi che lo fa scrivere sulla stampa comunista (l’Unità e Il calendario del popolo) egli è sempre guidato dalla felicità che dà la scoperta di qualcosa di autentico nei film che vede, abbandonandosi anche ai generi (poliziesco, fantascienza e western in particolare).
Il western diventa inoltre per lui l’ambito di una parallela attività di scrittore e traduttore di libri per ragazzi, anch’essa nata da proposte editoriali di Kezich. La casa editrice milanese AMZ si specializza in questo settore, e Ranieri vi collabora sia alla collana western che ad altre. Vi escono vari suoi volumi che riscrivono i personaggi del West, ma anche, nel fatale 1968, un sorprendente volume dal titolo La casa dei Kennedy, qui esposto. Lo si potrebbe tuttora raccomandare, non solo ai ragazzi, come la miglior sintesi di una cronaca familiare. Qui e negli altri suoi volumi per ragazzi, in una rilettura umanitaria e progressista della storia americana che il cinema ha reso leggenda, Ranieri riesce a cogliere come anche la vicenda Kennedy appartenga a quella leggenda, cercando in essa la verità e l’umanità.
Angelo Raja Humouda
Nato a Haifa il 3 settembre 1937 e morto a Genova il 26 aprile 1994, era figlio di un commerciante palestinese arabo-cristiano venuto in Italia agli inizi del Novecento e traferitosi in Palestina – con la moglie piemontese – negli anni ’30. Angelo era un bambino quando, allo scoppio della guerra arabo-israeliana del 1948, i suoi genitori decisero di lasciare la Galilea e rientrare in Italia, stabilendosi a Genova.
Apolide, aperto a 360 gradi verso tutte le culture e appassionato di cinema, Angelo R. Humouda è diventato in Italia uno degli operatori culturali più generosi e fertili. Era capace di rivolgersi a tutta la storia del ’900 con sguardo libero, riscoprendo prima di molti altri il movimento antinazista della Rosa Bianca e guardando con forte sensibilità ai film che raccontavano le vicende delle persecuzioni ebraiche. Il suo sguardo verso la storia del cinema americano è stato una lezione per tutti gli studiosi e gli organizzatori di festival e cineclub. La Cineteca Griffith da lui fondata a Genova ha fatto conoscere per la prima volta l’iniziale periodo Biograph del regista e tutta la sua opera successiva. Nelle sue edizioni (tra cui la rivista Griffithiana) ha studiato anche il modo in cui Griffith e tutto il cinema muto hanno trattato i neri e gli indiani. Ai pellerossa nel cinema ha dedicato la collana “I cerchi del mondo” che qui si espone insieme al volume sul primo film di Griffith.
Molti critici che allora furono giovani gli devono moltissimo, come gli deve non solo la Liguria ma anche il Friuli Venezia Giulia dove è lui (che aveva fatto il militare a Trieste e in quel frangente ricordava di aver assistito ad alcuni dibattiti sul cinema condotti da Tino Ranieri) a ispirare la nascita della Cineteca del Friuli cui ha poi donato la biblioteca che è il nucleo di quella che a Gemona porta il suo nome e che è stata un imprescindibile strumento di lavoro per questa mostra. Con il rimpianto di non potergli più chiedere come vede, per esempio, il ritorno del tema dei nativi americani in epoca kennediana.
Roger Tailleur
Nato a Perpignan il 18 novembre 1927 e morto a Villejuif il 9 settembre 1985, uno dei massimi critici cinematografici francesi è stato anche il più sensibile verso ciò che si muoveva nel cinema dell’era Kennedy. La grande critica francese tra gli anni ’50 e ’60 è letteralmente l’epoca di una rivoluzione copernicana nello sguardo verso il cinema: c’erano stati anche in precedenza grandi critici, in Francia come altrove, ma mai come ora e qui si riesce a immergersi nel cinema, a coglierne le più vive pulsazioni, a percepirvi un organismo. Se i Cahiers du cinéma hanno saputo riconoscere le vere grandezze tra i cineasti e a varare l’idea di una “politica degli autori”, la rivista eretica nata come una loro costola, Présence du cinéma, ne vara una versione più errante, riuscendo a riconoscere altre grandezze di pari livello. Oggi ci appaiono secondarie le idiosincrasie di entrambe rispetto alle loro più profonde passioni, e possiamo anzi integrare queste con quanto scoprirono tendenze e riviste più pragmatiche, tra le quali la massima è Positif. E qui il critico più geniale è Tailleur, con uno sguardo verso il cinema americano coevo che è quello di un puro rabdomante (il volume in cui gli amici Louis Seguin e Michel Ciment, con la prefazione di Frédéric Vitoux e la collaborazione di Paul Louis Thirard, ne raccolsero gli scritti, è esposto in mostra: esiste anche una più ampia edizione italiana in due volumi a cura di Gianni Volpi, tuttavia i saggisti francesi e quindi anche i critici di cinema francesi sono sempre più affascinanti nella loro lingua).
Il lavoro critico di Tailleur, interrotto per sua scelta nel 1968 per dedicarsi allo studio dell’arte figurativa italiana, con un gesto da geniale eterno dilettante nel senso rosselliniano, ci rivela tesori misconosciuti tra i film americani coevi, oltre le sole costellazioni dei grandi autori. Egli si abbandona anche alla passione per generi come il poliziesco, il musical e soprattutto il western, ma al di fuori delle sterili varianti cinefile che non fanno scelte critiche d’amore. E per Tailleur amore significa anche amore per la donna, e per le presenze d’attrici nel cinema.
Egli ha accolto con ammirazione affettuosa l’avvento di JFK alla presidenza. Come per molti altri negli anni ’60 avverrà uno spostamento verso posizioni più radicalmente di sinistra, e per Tailleur esso sarà parte di un rapporto d’amore con Michèle Firk, nata a Parigi nel 1937 in una famiglia ebraica sfuggita ai pogrom. Anche lei scrive su Positif, e segue in particolare il cinema cubano, per poi immergersi nella lotta anticoloniale degli algerini e successivamente nella guerriglia guatemalteca dei FAR, morendo suicida il 7 settembre 1968 per sfuggire a un arresto della polizia nell’ambito delle indagini per il sequestro e l’uccisione dell’ambasciatore americano in Guatemala.