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Laura Canali e le Geopoesie

      Laura Canali era consapevole del fatto che condensare in un’unica opera quel “compendio dell’universo” di nievana memoria che è il Friuli Venezia Giulia non sarebbe stata una sfida facile ma sapeva anche che avrebbe dovuto abbandonare i confini del “suo” mondo per perdersi e ritrovarsi completamente nella terra che si accingeva a esplorare. E così ha fatto. Ha intrapreso un viaggio “avventuroso e intimo” tra i paesaggi montani di Forni di Sopra, per poi scendere verso Gemona, la pianura friulana, raggiungendo Aquileia.

      In questi territori il terremoto del 1976 echeggia nella memoria collettiva, mentre le cicatrici delle guerre del passato si fondono con la bellezza selvaggia dei fiumi e delle montagne. Dolore e speranza danno vita a un dialogo tra l’umanità e la natura aspra delle Alpi. Il Tagliamento, con il suo corso irregolare, si è rivelato un simbolo potente di vita e di cambiamento, una guida attraverso le profondità della storia e della geografia.

      C’è come qualcosa che scorre, come il Tagliamento, ma è dentro le persone. Lo senti, lo percepisci a ogni incontro. Ogni essere umano deve conservare e consegnare la storia agli altri, non solo ai figli di questa terra ma a tutti e anche a me.

      Questa è la linea che ho scelto per la mia geopoesia, un’anima forte, una colonna vertebrale fatta di ciottoli bianchi.

      I segni dei conflitti passati si stagliano anche sui confini di Gorizia e Nova Gorica, testimoni mutevoli ora di divisione, ora di riunificazione. Nei vicoli stretti e nei cimiteri antichi risuonano le voci degli eroi, dei patrioti, dei vinti e dei liberati in un abbraccio senza tempo.

      Camminare in Friuli Venezia Giulia, incontrare le persone, a caso, ho sentito che volevano comunicare, raccontare, nessuno sarebbe andato via, nessuna smania di fare, andare, ma stare condividendo.

      I gesti, le abitudini, il racconto, le persone normali, questo è il messaggio potente che il Friuli Venezia Giulia ci trasmette sobriamente, senza strillare, solo a chi si avvicina, solo a chi vuole vedere oltre, solo a chi vuole ascoltare.

      E così, attraverso le voci udite, il colore delle chiese, i profili dei monti e le geometrie delle città ha iniziato a prendere forma questa mappa geopoetica la quale, intrecciando versi e paesaggi e unendo il passato al presente, la terra al cielo, l’amore alla memoria ha donato all’autrice uno sguardo nuovo su un mondo in costante mutamento.

      Il racconto di Laura Canali

      Cos’è la Geopoesia?

      “Una geopoesia è come un richiamo,
      una sollecitazione della memoria,
      uno stimolo a vedere il mondo attraverso i sentimenti.

      – Laura Canali-

      Quando inizio a pensare di disegnare una nuova geopoesia, normalmente ho già un’idea precisa che nasce da un libro che ho letto o da poeti che hanno colpito la mia sensibilità. Una geopoesia non è come una mappa di Limes che spiega dinamiche e segue un ragionamento geopolitico, una geopoesia è come un richiamo, una sollecitazione della memoria, uno stimolo a vedere il mondo attraverso i sentimenti. Vorrebbe essere una porta magica da attraversare, una suggestione, un sentiero appena intravisto.

      Una Geopoesia sul Friuli

      Quando Flavia Virilli mi ha proposto di lavorare ad una geopoesia della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, ho avuto un sussulto, anzi due, il primo è stato subito di entusiasmo legato alla sfida di provare a cimentarmi in qualcosa che non avevo mai tentato e il secondo era legato ad un po’ di preoccupazione perché ho subito percepito il rischio di non riuscire ad includere tutto, ho pensato che qualcosa o qualcuno ci sarebbe rimasto male. 

      Subito dopo ho pensato che avrei dovuto studiare molto ma ero sicura di non poter leggere tutto quello che sarebbe stato necessario, perlomeno non profondamente e così mi sono resa conto che tutto il mio procedere creativo di sempre lo stavo mettendo in discussione. Dovevo cambiare punto di vista. Per forza. Ho capito che dovevo prima mettere i piedi in Friuli Venezia Giulia, annusare l’aria, lasciarmi trasportare dentro.

      Come nasce una geopoesia: Laura in viaggio verso il Friuli

      Ho subito deciso di fare una viaggetto per cominciare a sentire cosa provavo ma mi serviva un punto di partenza, dovevo scegliere un punto di vista e la mia scelta è caduta sul fiume Tagliamento che divide in due il Friuli ma prima si piega a gomito tra Tolmezzo e Venzone. La corona alpina rimane compatta, infatti il fiume nasce al passo della Mauria e io ho scelto di entrare proprio da lì, dal passo della Mauria per poi fermarmi qualche giorno poco oltre, a Forni di Sopra. Paese piccolo, di montagna, semplice, lontano dal ricordare l’Alto Adige, dove vado volentieri, Forni di Sopra è silenzioso, con case tradizionali in legno, che cura la sua tradizione, restaura, spiega, c’è anche un museo e un centro per il ricamo. Comincio a percepire che qui la memoria è il presente e sarà il futuro. C’è come qualcosa che scorre, come il Tagliamento, ma è dentro le persone. Lo senti, lo percepisci ad ogni incontro. Ogni essere umano deve conservare e consegnare la storia agli altri, non solo ai figli di questa terra ma a tutti e anche a me.

      Infatti succede subito, incontro Anna all’ufficio del turismo di Forni di Sopra, la mattina dopo il mio arrivo. Siamo solo io e lei. Aspettiamo la guida alpina per fare un giro, siamo due donne sole della stessa età. Lei mi guarda negli occhi e io sento che abbiamo qualcosa in comune, una certa attitudine all’ascolto, all’amore per i boschi e per la neve. Cominciamo subito a parlare di tante cose e lei mi racconta tanta storia del Friuli Venezia Giulia, il suo senso di responsabilità la rende anche leggera, non vuole appesantirmi con il tanto dolore che è passato da queste parti ma non vuole farmi sconti. Sceglie le parole, senza però evitare i passaggi duri della guerra che si mischiano alle sofferenze personali.

      Quando ho iniziato questo viaggio, da romana quale sono, non sapevo davvero cosa aspettarmi, non conoscevo questa regione ma mi ricordo bene il terremoto del 1976. Cioè, avevo solo otto anni, ma mi rimase impresso un ricordo preciso. All’epoca ascoltavamo la musica su delle cassette con un nastro e anche a Udine il 4 maggio del 1976 un ragazzo di diciotto anni di nome Mario Garlatti stava riversando un disco dei Pink Floyd proprio su una cassetta quando arrivò la scossa di terremoto. Lui la registrò del tutto casualmente ma fu così che tutta Italia senti il suono dell’Orcolat, la voce dell’orcaccio, nome dispregiativo con cui i friulani chiamano il terremoto. Mi fece molta impressione. Tutti hanno paura del terremoto perché la propria casa, luogo rifugio, si trasforma in una trappola mortale. È un evento naturale che genera un trauma collettivo di difficile gestione per una comunità. 

      Ai bambini che hanno riunito la forza della loro immaginazione per contenere il terrore del terremoto durante quella sera del ’76, si è aperta dentro una faglia di precarietà, e credo che la mia ossessione per la scrittura muova dal buio di quella faglia e dal tentativo, patetico quanto ostinato, di riavvicinarne i lembi.

      (Questa libertà, Pierluigi Cappello, Bur Rizzoli contemporanea 2022 – pag. 57)

      La faglia, già si perché il Friuli Venezia Giulia, come tutta l’Italia, è attraversata da faglie tettoniche una molto importante, la faglia periadriatica. Descritta così dal grande poeta Andrea Zanzotto:

      … per avvicinarsi ancor di più al precario/eterno che circola da questi paraggi, bisognerebbe prima che con terre ed acque aver contatto con le sotterranee rocce e con il sepolto magma di fuoco che le regge sul suo dorso. Si è all’angolo de mare Mediterraneo e Adriatico che si sfibra e diventa sempre meno profondo, da queste parti, (…). Quell’angolo di mare abbastanza quieto e spazzato da venti non terribili, bisogna pensarlo, insieme con una breve porzione di terra che lo circonda, sospeso proprio sull’orlo della grande faglia periadriatica, che spacca là nei dintorni la crosta terrestre. (…) si è al limite di una ridotta zolla che fa spesso sentire la sua inquietudine e fa oscuramente tremare la cerchia di monti e di colli che sta, poco lontana, sugli sfondi della città. Anche alla città arriva il tremore: ma siccome essa stessa è irrequietezza ed elastica instabilità sopra fanghi e depositi alluvionali non ne ha mai un totale pericolo.

      (Luoghi e paesaggi, Andrea Zanzotto, Bompiani 2013 – pag. 88-89)

      La visione poetica con la quale Zanzotto parla di queste terre sospese sulla faglia periadriatica sono del 1964 circa. Dieci anni prima del terribile terremoto del Friuli. Il terremoto è per noi umani una catastrofe ma per il nostro pianeta è movimento, è creazione, è cambiamento. Il trauma lega inesorabilmente, in questo caso i friulani al Friuli. Come si guarisce? Non si guarisce mai del tutto, anzi, il trauma si tramanda anche alle generazioni che seguono, tutti imparano a convivere con i traumi fino al giorno in cui ci si accorge che il dolore che abbiamo dentro non prenderà più il sopravvento, affiorerà ogni tanto o spesso, dipende, ma farà parte di un tutto, dell’insieme della nostra personale vita e della nostra vita comunitaria.

      Qualcuno ha appena versato con fragore nel cassonetto in fondo alla via un carico di bottiglie vuote, sento un cane abbaiare in lontananza, tutto è fermo, tutto potrebbe mutare.

      (Questa libertà, Pierluigi Cappello, Bur Rizzoli contemporanea 2022 – pag. 58)

      Venendo da Roma a Forni di Sopra, oltre alla mia valigia ho portato con me un forte dolore alla scapola sinistra, è un brutto dolore, come se avessi qualcosa conficcata. Chiedo se c’è qualcuno nei dintorni che sappia aiutarmi con un massaggio e incontro Monica, esperta di medicina cinese. Mi stendo e lei con lievi pressioni e l’aiuto di alcune coppette che agiscono come una sanguisuga, porta via il mio dolore in tre sedute e per farmi un regalo, alla fine del terzo giorno, mette le sue mani sulla mia pancia, appena sotto l’ombelico, le fa vibrare lievemente e all’improvviso dentro la mia pancia sento venire un intenso calore. Rimango davvero stupita. Chiedo come sia possibile e lei mi risponde che è l’energia delle montagne che sta convogliando dentro di me. Se non lo avessi vissuto non ci crederei. La sensazione di calore è durata a lungo. In quel momento ho capito che avevo fatto la scelta giusta, camminare in Friuli Venezia Giulia, incontrare le persone, a caso, ho sentito che volevano comunicare, raccontare, nessuno sarebbe andato via, nessuna smania di fare, andare, ma stare condividendo.

      Si la prima sensazione che ho avuto è stata quella del desiderio di condivisione. Durante la prima escursione nel bosco, insieme ad Anna, ho potuto vedere alcune zone dove ci sono molti alberi caduti a causa della tempesta Vaia. Qui sono piccole zone tonde ma irraggiungibili con mezzi di trasporto per cui gli alberi non potranno essere rimossi. L’unico modo sarebbe di tagliare e trasportare i tronchi a dorso di asino ma ci vorrebbe molto tempo. La vegetazione è diversa dall’Alto Adige, c’è molta varietà di alberi e sono più mediterranei a causa dell’influenza del mare che è molto vicino. Infatti in Friuli Venezia Giulia ti muovi rapidamente dal mare alla montagna, dai Colli alla pianura. Tutto è vicino, tutto a portata di mano ma ambienti così diversi.

      Alla fine dei tre giorni arriva Martina a prendermi, non ci conosciamo ma anche lei, si capisce subito, è dello stare e condividere. Guida con calma e mi lascia il tempo di guardare il paesaggio. Non sono stata fortunata con il tempo metereologico ma non mi lascio impressionare dai colori grigio/marrone e verde muschio, ho dentro la mente i versi della canzone di Elisa, Tramonti a Nord Est, so che ci sono i colori, li sento in ogni angolo pronti ad illuminarsi con il sole. Ma vedo il verde acqua luminoso del Tagliamento quando s’innesta con il fiume Fella. Un verde che non ha bisogno del sole per essere così brillante, porta la luce dentro.

      Il fiume Tagliamento però, proprio nell’attraversamento di Forni di Sopra, di acqua ne aveva proprio poca. Ho pensato alla grave siccità che sta colpendo tutta l’Italia in questi anni ma esistono anche altri motivi che impoveriscono di acqua questi fiumi già in alta quota. Il Tagliamento ha un gemello e si chiama “secondo Tagliamento” è completamente artificiale e formato da lunghissime gallerie sotterranee che non si vedono ma convogliano quasi l’intera portata del Tagliamento numero uno e dei suoi affluenti, nel sistema idroelettrico delle centrali di Ampezzo e di Somplago. Il bacino di Sauris è il primo a raccogliere le acque del “secondo Tagliamento e serve la centrale di Ampezzo, mentre il secondo bacino è quello di Verzegnis che alimenta l’altra centrale di Somplago. Gli scarichi di quest’ultima centrale finiscono nel lago di Cavazzo o dei Tre Comuni. L’acqua poi prosegue per altri ottanta chilometri fino a rientrare nell’alveo originario del “primo Tagliamento” all’altezza del ponte Braulins. Ed è da questo punto che il fiume recupera l’acqua, non più pulitissima e anche il suo naturale defluire selvaggio a canali intrecciati che ormai lo rendono unico in tutta Europa. Sul lago di Cavazzo, non c’è solo la centrale idroelettrica A2A, c’è anche una stazione dell’oleodotto trasalpino Tal che da Trieste sale fino alla Germania. 

      Il fiume Tagliamento mi ha affascinato durante una visita che ho fatto al Museo di geografia dell’Università di Padova, per terra all’ingresso c’è una grande fotografia satellitare della pianura Padana e di tutto l’arco alpino. Ad un certo punto si vede questa striscia bianca affiancata da una grande V sempre bianca che è l’alveo del fiume Meduna. Due scie bianche che si stagliano come due vie lattee terrestri, polvere di stelle? No, ciottoli bianchi che si trasformeranno in sabbia sottile una volta che avranno raggiunto il mare Adriatico. Lignano Sabbiadoro, Grado e tutta la costa limacciosa ha un litorale che è frutto dello sfaldamento delle Alpi. Qui, più che altrove è chiaro che tra migliori di anni le Alpi saranno pianura. Qui più che in tanti atri posti è chiaro che la forza dell’acqua è stupefacente e un giorno scioglierà tutte le Alpi.

      Questa è la linea che ho scelto per la mia geopoesia, un’anima forte, una colonna vertebrale fatta di ciottoli bianchi. Guardandoli da vicino si può vedere che non sono tondi ma esagonali perché ho preferito una forma geometrica spigolosa proprio per ricordare la montagna e non subito i ciottoli levigati dall’acqua come in realtà sono. L’anima del fiume non poteva che essere verde e poi subito sopra ho disegnato il corso del fiume per intero che si intreccia con il “fiume anima”.